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Da whatsappare a spoilerare: i social network e l'evoluzione del linguaggio

Da whatsappare a spoilerare: i social network e l'evoluzione del linguaggio

L’ultima edizione del vocabolario Treccani, pubblicata nel 2019, raccoglie 3.505 neologismi nati, nella lingua italiana, fra il 2008 e il 2018. Fra questi, molti sono riconducibili all’evoluzione del mondo digital, passando inevitabilmente per i social network: “Twittare”, “Emoticon”, “Qr Code”, “Cyberattivista”, “Messaggeria istantanea”, “YouTuber”, “Whatsappare”, sono solo alcuni dei termini che la prestigiosa istituzione ha rilevato nell’ultimo decennio: “Il nostro compito – ha spiegato Giovanni Adamo, responsabile dell’Osservatorio Neologico della Lingua Italiana dell’Iliesi-Cnr – è osservare le nuove parole, passando al vaglio la stampa quotidiana, 76 testate in tutto.”


In breve: ciò che nasce nell’ambito del linguaggio social, magari durante chiacchierate informali su una chat, diventa pian piano termine codificato. La lingua si evolve anche – e soprattutto – attraverso l’utilizzo dei vari media. D’altra parte, prima dell’avvento della televisione, non aveva molto senso parlare di “tubo catodico”, “digitale terrestre” o “schermo lcd”. Allo stesso modo, la massiccia diffusione di internet e dei social network sta modificando, e integrando, molte delle nostre espressioni, sia verbali che scritte. 


“Le nostre abitudini – continua Adamo – sono state modificate in modo significativo anche dall’affermazione delle reti sociali. Si sono così diffusi vocaboli come influencer. Oppure si è imposto l’hater, l’odiatore, che approfittando dell’anonimato di internet ricorre a un gergo violento online.” Ma quali sono le caratteristiche di questi cambiamenti? È possibile formulare dei trend generalizzati? Vera Gheno, sociolinguista ed ex collaboratrice dell’Accademia della Crusca, parla molto eloquentemente di “social-linguistica”. 


Un italiano denso di abbreviazioni, tecnicismi, anglicismi, punteggiatura potenziata (come i tre punti esclamativi alla fine di una frase che vogliamo perentoria!!!), elementi iconici come le emoji. In generale, dice Gheno: “Dai social abbiamo acquisito dei nuovi ‘campi’ in cui scriviamo e per i quali utilizziamo un italiano scritto completamente informale; si scrive sui social come si parla, in maniera destrutturata, con massiccio ricorso a quello che i linguisti definiscono l’italiano neo-standard, che non è altro che un’evoluzione della norma in base all’uso della lingua che ne fanno gli utenti.” Insomma: la lingua, come chi la parla, è materia viva. Si evolve al mutare della società, dei media, di quelli che il sociologo Marshall McLuhan chiamava “Strumenti del comunicare.” 


Ciò che risulta interessante e peculiare nella “neo-lingua” dei social è la fusione fra anglicismi e tempi verbali italiani, come rilevato da Paolo D’Achille dell’Accademia della Crusca. Termini che vengono utilizzati per esprimere, attraverso una sola parola, un concetto che, altrimenti, avrebbe bisogno di periodi più lunghi e interconnessi per essere chiarito. Gli esempi portati da D’Achille sono molti: “Flammare, usato in rete nel senso di ‘scrivere messaggi offensivi’; buggare, che identifica un’app che non funziona a causa di qualche errore di programmazione; spoilerare, inteso come informazione che mira a rovinare la fruizione di un film, serie, libro e simili, rivelando la trama, la conclusione, l’effetto sorpresa a chi partecipa a un newsgroup, una mailing list, una chat.” 


Ancora una volta, ciò che viene privilegiata è quindi la sintesi e l’informalità del messaggio. Che, per essere correttamente recepito, ha ovviamente bisogno di una base di senso comune: sia il mittente che il destinatario del messaggio hanno, banalmente, bisogno di sapere “a priori” cosa significhi flammare o buggare. Questo bagaglio di comune conoscenza linguistica è ciò che, negli ultimi anni, sta esponenzialmente crescendo sui social e – potremmo dire – per effetto dei social. Non è infatti raro che, oggi, termini come whatsappare o spoilerare siano utilizzati anche fuori dal contesto “fisico” di internet, durante conversazioni al bar o in ufficio. 

Non solo: esiste una tendenza ancora più recente, che si identifica col nome stesso del social di riferimento. Non è raro ascoltare o leggere frasi del tipo: “Facciamo un TikTok”. Appena tre parole che significano: giriamo un piccolo video col nostro smartphone e pubblichiamolo su questo social, che è appunto TikTok. Ancora una volta si assume, come caratteristica di base, un bagaglio di conoscenze comuni e di impliciti. In tal caso: sapere cosa sia TikTok, a cosa serva, come si utilizza. Frasi che, probabilmente nello spazio di pochissimi mesi, reputeremo naturali come “Cambia canale” o “Accendi il computer.”

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