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Entertainment e lockdown: la crescita esponenziale dello streaming

Entertainment e lockdown: la crescita esponenziale dello streaming

Intrattenimento è una delle parole-chiave della quarantena da coronavirus. Essere costretti per la quasi totalità del proprio tempo in casa, non significa rinunciare a trascorrere ore piacevoli, magari in compagnia di un film o di una serie. Com’era di fatto prevedibile, il lockdown ha favorito in modo esponenziale l’utilizzo delle piattaforme streaming da parte degli utenti. Il fenomeno è ben inquadrato dai dati diffusi da Nielsen il primo aprile 2020.

Secondo la company statunitense, il tempo trascorso online sulle piattaforme streaming è aumentato del 34 percento su scala mondiale rispetto al mese di marzo dello stesso anno. Passando da 116,4 miliardi di minuti visualizzati a 156,1 miliardi. L’incremento maggiore è quello di Netflix, con circa 16 milioni di nuovi abbonati al mondo nei primi tre mesi del 2020, per un totale di 183 milioni di utenti attivi sulla piattaforma e un più 0,8 percento in borsa.

Le altre piattaforme non stanno però a guardare: Amazon ha incrementato il suo pubblico del 9 percento grazie alla sua sezione Prime Video; Disney+, ultimo concorrente in ordine di tempo giunto sul mercato, si è già assicurato oltre 50 milioni di utenti su scala globale dal giorno del suo debutto americano, il 12 novembre 2019. Ottime anche le performance delle piattaforme che prevedono l’acquisto o il noleggio di singoli contenuti (quindi non un all you can see con abbonamento mensile): YouTube viaggia su un +20 percento, Hulu sul +10 (precisando il fatto non trascurabile che è visibile solo in Giappone e Stati Uniti), RakutenTv sul +9 percento.

Numeri che delineano un panorama in costante crescita e che pongono alcune questioni sul tavolo: come le case di produzione terranno conto di questa accelerazione esponenziale? Come si modificherà l’offerta dei contenuti? I brand di consumo, non direttamente connessi all’offerta audiovisiva in streaming, si inseriranno nel flusso, magari con iniziative di co-marketing e product placement?

Primo punto: le case di produzione. I cinema sono chiusi e, per ora, gli unici punti di contatto fra mondo dell’audiovisivo e spettatori sono la televisione e le piattaforme streaming. In attesa che il grande schermo torni a essere parte delle nostre scelte d’intrattenimento, alcune case di produzione hanno adattato la loro offerta in virtù del periodo. Come la Universal Pictures, prima major di Hollywood che approccerà un modello di distribuzione diverso da quello classico: non passeranno più i canonici 90 giorni fra l’uscita di un nuovo film nelle sale e la programmazione sulle piattaforme streaming. Un nuovo modello di cinema on demand, con acquisto dei singoli titoli a un prezzo premium, inaugurato grazie a tre titoli usciti in sala tra febbraio e marzo: “The Hunt”, di Craig Zobel; “The Invisible Man”, di Leigh Whannell; “Emma”, di Autumn de Wilde. Tutti già disponibili su piattaforme online come iTunes e Amazon o sul sistema via cavo Comcast. Stesso passo è stato compiuto dalla Disney, che ha reso già disponibile sulla propria piattaforma “Frozen 2” e “Star Wars: The Rise of Skywalker”.

Il secondo punto, quello sulla modifica dell’offerta di contenuti, è direttamente connesso al primo. Fermo restando che con i set bloccati, alcuni fan hanno giù dovuto masticare amaro per il rinvio delle ultime stagioni delle loro serie preferite (come, ad esempio, “Peaky Blinders” o “Supernatural”) alcune piattaforme hanno già comunicato ufficialmente di avere dalla loro una vera “cassaforte di contenuti”, come la definisce Netflix. Il colosso americano ha comunicato di avere a disposizione un calendario di prodotti fino a tutto il 2021, attraverso la capacità di produrre anche su mercati internazionali (come Corea del Sud e Islanda) che oggi si trovano nelle condizioni di poter lavorare sui set nonostante l’emergenza sanitaria.

Aspetti che si incontrano nella terza delle questioni: i brand che si occupano di tutt’altro, riusciranno a inserirsi in questo flusso in ascesa per rilanciare i propri prodotti e la propria identity una volta passato il tifone della crisi? Tutto fa pensare a una risposta positiva. Il cammino era difatti già segnato. Le iniziative di product placement, ad esempio, nel corso del 2019 si sono moltiplicate. D’altra parte, sulle piattaforme streaming non ci sono pause per gli spot, ma molto spazio per quelle aziende che vogliono pubblicizzare i loro prodotti. Un esempio su tutti: “Stranger Things” e Coca Cola. Nella serie, ambientata negli anni ’80, è visibile a più riprese il marchio “New Coke” – famosissimo in quegli anni – che Coca Cola non ha ovviamente perso tempo a rimettere in commercio, in serie limitata e in appositi pop up store brandizzati.

Il marchio Estrella Galicia, notissimo produttore di birra in Spagna, non si è fatto scappare il successo de “La Casa di Carta”, mentre nella serie “The Walking Dead”, nota per il suo clima horror “sporco” e teso, vediamo i protagonisti sfrecciare spesso e volentieri su Hyundai immacolate e scintillanti. E come dimenticare, nell’ambito cooking show, quelle prolungate inquadrature sul marchio dei rotoloni Regina, magari mentre gli chef si esibiscono in una delle loro ricette?

Una tendenza, quella del product placement, già iniziata in tempi non sospetti (a fine anni ’80, Nike e Mattel apparivano già in “Ritorno al Futuro 2”) ma che ora, con l’incremento di offerta e utenza, si apre a scenari ancora più vasti.

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